La legge del non dolore è la prima che governa gli adattamenti e le modificazioni posturali visibili e non. Le altre leggi, che acquisiscono però un ruolo secondario, sono il risparmio energetico, l’orizzontalità dello sguardo, la necessità funzionale, il comfort e l’equilibrio.
In corso di dolore, che sia acuto o cronico, il sistema tensegrile adotta una serie infinita di compensi alla ricerca di una soluzione che permetta di aggirare la sintomatologia in corso. Questa strategia è fisiologica e indispensabile per la sopravvivenza dell’organismo. Pur di non sentire dolore, o per ridurne almeno la percezione, il corpo è disposto a modificare il tono muscolare e il rapporto articolare, fino ai limiti fisiologici, sacrificando però elasticità muscolare, mobilità articolare e funzionalità. Ne consegue una potenziale riduzione della prestanza fisica e l’esposizione a differenti tipi di sofferenza muscolo-scheletrica e di altri sistemi.
Considerando che la capacità di compensazione non è infinita, poiché bisogna fare i conti con i limiti fisiologici di una struttura fisica, ogni compenso adottato intacca la riserva di possibili adattamenti biomeccanici tollerati dal corpo.
Ogni compenso attinge dalla disponibilità di adattamento del sistema, e riduce il margine di tolleranza dello stesso.
L’introduzione di un nuovo compenso avvicina il sistema alla sua soglia di sopportazione massima, oltre la quale si osservano le più svariate complicanze sistemiche, rischiando di passare da una condizione di fisiopatologia ad una di patologia.
Rivolgendomi agli atleti che fanno i conti con traumi, infortuni e sofferenze muscolari, soprattutto negli sport d’impatto, prendersi cura del sistema e ridurre al minimo l’accumulo di compensi sta alla base di un corpo prestante e longevo.