Quando rinforzo e quando allungo? questa questione molto spesso ha generato confusione nei pazienti che ho incontrato, il più delle volte orientati in maniera impropria dai consigli di professionisti dalla discutibile competenza.
Quello che mi sento di mettere in chiaro da subito, è che il rinforzo non è terapeutico mai o quasi.
Se c’è un’esigenza terapeutica, lungi da fare esercizio di rinforzo poiché significa aumentare la tensione all’interno del sistema.
E non mi trovo per niente in accordo anche con quelle teorie che additano ad una “debolezza” muscolare la causa di un certo vizio posturlogico o sintomo. Ad esempio: rinforzo del quadricipite mediale in caso di ginocchia valghe, o il rinforzo dei muscoli addominali per “proteggere” la schiena, …eccetera…
Questo non è uno sminuire il potere dell’attività fisica, ma semplicemente chiarire funzioni, potenzialità e limiti.
Esistono tuttavia delle ottime metodiche che sfruttano l’attivazione muscolare per uno specifico obiettivo ad alto impatto neurologico o posizionale.
Alcuni di questi sfruttano la coordinazione fra agonisti ed antagonisti e i riflessi che la regolano, come il principio dell’innervazione reciproca: attivando un agonista si ottiene la disattivazione dell’antagonista. Utile quando si vuole disattivare un muscolo iperprogrammato, sfrutto l’attivazione dell’antagonista. Per ottenere il risultato desiderato è necessaria una esecuzione molto accurata, quindi un’attivazione muscolare precisa e senza dispersioni.
>esempio: per disattivare il bicipite brachiale, attivo il tricipite brachiale.
Un altro modo per sfruttare l’attivazione muscolare è l’accoppiamento contrazione eccentrica-concentrica di un muscolo abbinato ad un movimento ad ampio range of motion. Questo richiede un’attenta valutazione della biomeccanica del gesto.
Esistono altre metodiche che sfruttano l’attivazione muscolare di certi fasci muscolari che per difetti posturali, evolutivi e non, hanno subito uno stiramento e che manifestano difficoltà all’attivazione.
In tal caso ha senso lavorare sull’attivazione, e non sul rinforzo, curando l’accordo biomeccanico con il resto del sistema. E’ un lavoro di fine studio biomeccanico, contestualizzato in uno studio globale del sistema muscolo-scheletrico, che utilizza sinergie e inter-coordinazioni muscolari.
In corso di sintomatologia dolorosa, o in caso di cronicità, affidarsi all’esercizio di rinforzo rischia di avere gravi effetti collaterali nel medio e lungo termine, oltre che discutibili effetti benefici nel breve termine.
Molto spesso ho sentito pazienti che mi hanno riportano la loro esperienza di aver migliorato per un certo periodo la loro sintomatologia in seguito alla messa in pratica di esercizi di rinforzo, seppur delicati, ma della famiglia del rinforzo. E questi esercizi venivano consigliati da ortopedici, fisioterapisti, fisiatri o personal trainer. Lungi da me giudicare il loro operato, ma molto spesso vengono prescritti con troppa leggerezza esercizi senza accurate valutazioni e come ci sono state testimonianze positive, ce ne sono altrettante, o in numero maggiore, negative o neutrali.
Ma come accade nella maggior parte dei casi dei pazienti che si rivolgono a me, nonostante siano stati ligi nella pratica dell’esercizio di rinforzo consigliato, il sintomo si ripresenta, magari sotto altra forma, ma ricollegabile a quel distretto.
Nel confrontarmi con questi professionisti, la loro difesa si appellava alle linee guida fisioterapiche o ortopediche generali. Personalmente non condivido la metodologia di seguire delle linee guida (protocolli), queste potrebbero essere fallacee o incomplete o obsolete. Come la storia insegna, ci sono stati molti cambi di opinione in ambito scientifico. Un professionista delle scienze dovrebbe sempre essere pronto a mettere in dubbio i principi assunti e cercare le risposte ai perché che nascono da un ragionamento logico e scientifico.
Cercare soluzioni semplici a problemi complessi, come complesso è il corpo umano, non mi sembra una strategia vincente. Piuttosto approfondiamo il caso, analizziamo anatomia e biomeccanica. Affidiamoci ai principi osteopatici che sono il risultato di una ricerca approfondita, poco empirica, molto logica.
In risposta a chi mi dice che però per un certo periodo si è sentito meglio, è perché il movimento di un’articolazione ne stimola l’irrorazione, il drenaggio, la produzione di liquido sinoviale. Ma mi permetto di asserire che questo non è sufficiente per essere considerato risultato terapeutico. Piuttosto la considero un’azione palliativa.
L’attività motoria generale o specifica, in corso di sofferenza, non fa altro che attingere dalla riserva di disponibilità del corpo di adattarsi. Più mi muovo e più il corpo trova soluzioni di adattamento a breve termine ai vari problemi in corso. Significa avere ripercussioni nel lungo termine, poiché si esaurisce anzitempo la capacità di adattamento, che ha un limite. Escludo da questa considerazione quelle attività che promuovono la distensione e il rilassamento del corpo, come la pratica di Allungamento Globale e certe pratiche di Yoga.
Oltrepassato il limite, sarà più difficile recuperare margine di adattamento, perché si è in negativo, in debito, siamo sotto zero, e risalire a galla richiede tempo, pazienza, ed energia. E non è ancora sufficiente se si vuole avere credito o margine di sopportazione e adattamento. Serve recuperare altri step oltre lo zero per considerarsi non vulnerabili alle fonti di stress psico-fisiche.
L’attività fisica aiuta a trovare degli adattamenti ai problemi, non soluzioni. La capacità di adattamento però non è infinita ed avvicinarsi alla soglia di tolleranza, crea vulnerabilità ed esposizione al dolore nel lungo termine, sempre meno lungo.
Cercare o dare soluzioni semplici a problemi complessi non la considero una strategia vincente.
Peccato che non si possa oggettivare, nemmeno con tutte le ricerche più scientifiche del mondo, quanto un esercizio di rinforzo possa risolvere certe problematiche e nemmeno eventuali recidive o effetti collaterali nel lungo termine. Questi sono i limiti della ricerca scientifica che si base sui numeri senza valorizzare l’analisi specifica di ciascun caso clinico.
Pure l’attività osteopatica non è oggettivabile scientificamente al completo, ma personalmente mi concentro sulla logica con cui pratico, sui principi e le leggi fisiche che governano il corpo, sulle reazioni e le modificazioni che i miei pazienti riportano.
L’esercizio fisico di rinforzo soddisfa il desiderio di essere parte attiva nel processo di guarigione, ma talvolta è più utile fermarsi, disattivare, allungare, aprire, piuttosto che chiudere, rinforzare, muovere a tutti i costi.
Mi rivolgo agli sportivi, che hanno fame di fatica e sudore, se volete stare in forma e allenarvi e dedicarvi alle vostre passioni sportive il più a lungo possibile, vi consiglio di bilanciare al meglio la dose di rinforzo e di allungamento, di rispettare i segnali del corpo, di rivolgervi agli specialisti con S maiuscola, in virtù di longevità e performance entusiasmanti.
In virtù di longevità e performance soddisfacenti, è indispensabile trovare il bilanciamento fra carico e scarico.
La parte di scarico è rappresentata dalla pratica di stretching, di massaggio, di respirazione diaframmatica, trattamento osteopatico strutturale e biodinamico e agopuntura . Tutto ciò che promuove l’apertura del sistema e non l’accorciamento.